LA PAROLA SCRITTA HA UN TONO DI VOCE?
QUANDO LA PAROLA È SCRITTA… PUO’ AVERE UN TONO DI VOCE?
Ancora una volta rimaniamo affascinate dai temi e dalle idee proposte da Annamaria Testa nel suo blog. Analisi attente ed acute in un mondo complesso come quello della comunicazione che ci portano a dipanare la matassa e a rendere più chiaro per tutti cosa significa comunicare. Riportiamo quasi integralmente il suo testo perché sarebbe onestamente difficile essere esaustive quanto lei.
“La parola scritta è, in primo luogo, parola. La scrittura la rende permanente e la separa dalla voce materiale di chi l’ha pensata. Se penso la parola “orizzonte” posso dirla (urlarla, sussurrarla, sibilarla…) e, secondo i casi e i contesti può, come qualsiasi altra voce, suonare divertita, annoiata, allarmata, gioiosa, didattica, triste, entusiasta…
Eppure la parola scritta, proprio per il suo essere “parola”, conserva un proprio suono, che con la voce materiale di chi l’ha scritta non ha niente a che fare. È un suono che può risuonare innumerevoli volte, restando simile a se stesso e riconoscibile, ma assumendo infinite possibili sfumature.
Ed è, notatelo bene, il lettore ad attribuire quelle sfumature di suono a ciascuna parola scritta: lo fa secondo la sua competenza nella lettura, il suo gusto, il suo umore del momento. E in relazione al fatto che stia leggendo il testo in fretta, scorrendolo con lo sguardo come fa un notaio che ricapitola le clausole di un atto prima della firma. O lentamente, come un buongustaio che assapora ogni caratteristica di quanto sta assaggiando.
Si tratta del suono immaginato o rievocato nella lettura silenziosa (e, allora, risuonerà nella mente di chi legge). O si tratta di un suono riprodotto e reinterpretato nella lettura o nella recitazione a voce alta.
Di che cos’è fatto il suono dei testi, allora? In primo luogo, è fatto del suono che deriva dalla specifica struttura (vocali e consonanti unite in una stringa di segni) di ciascuna parola scritta: se il suono delle parole, nella scrittura, si perdesse, non riuscireste a cogliere neanche le rime e le assonanze di una poesia.
Ma il tono di voce, nella parola parlata e ancora di più in quella scritta, non è fatto solo di suono delle parole: il punto è che non esistono parole pure e semplici. Vi sono soltanto parole con gesti o con tono di voce o con qualcosa del genere […] dobbiamo ricominciare tutto da capo e supporre che una lingua sia prima di tutto un sistema di gesti. Dopo tutto gli animali hanno solo gesti e toni di voce, scrive Gregory Bateson in quel testo complesso, affascinante e oggi, purtroppo, quasi dimenticato che è Mente e natura. È un’intuizione importante.
Dunque, il suono della parola scritta è fatto sì della risonanza di ogni singola parola, ma anche di qualcos’altro. Anzi, di tutto quant’altro può aiutare il lettore a immaginare, intuire, ricostruire, a partire da quello che potremmo chiamare il “suono mentale” della parola, anche tutte le sfumature sonore (il tono di voce o il “gesto”, per dirla con Bateson) che quella parola scritta avrebbe avuto, nelle intenzioni dell’autore, se fosse stata una parola parlata.
Che cos’è il “quant’altro”? In primo luogo, è la forma in cui quella parola si presenta davanti ai vostri occhi. Leggete “ORIZZONTE” scritto in grandi lettere maiuscole, su un enorme cartello? Bene: se è scritta in bianco sbiadito su un lugubre cartello nero, che tono assume nella vostra mente la parola? E che tono assume se, invece, è scritta in lettere celesti su un cartello color crema?
Forma e colore dei caratteri possono, nel tempo, diventare così dominanti rispetto al puro suono e al significato della parola da trasformarla in qualcos’altro: un marchio. Quello dei marchi è un mondo a parte… seguite questo link e guardate che cosa la grafica può fare con una singola parola.
Per certi versi, si può immaginare che ogni atto di scrittura consista nell’aprire un (interminabile) negoziato tra autore e lettori. Oggetto del negoziato: l’interpretazione del testo. Il suo senso.
In altre parole: quel che il testo “dice” davvero, a partire dal tono di voce che acquistano le parole, accostate una all’altra. L’autore può impiegare una serie di artifici per suggerire un tono di voce. Questi artifici riguardano sia la scelta delle singole parole da accostare, sia la costruzione delle frasi, sia il ritmo che la punteggiatura e gli spazi vuoti che circondano il testo suggeriscono. Il lettore può trascurare, in tutto o in parte, le indicazioni implicite dell’autore. O può decidere di infischiarsene.”