GLI ITALIANI E LA CREATIVITA’
GLI ITALIANI E LA CREATIVITA’
per quasi tutti un po’ astuzia, un po’ dono del cielo
Una riflessione fatta da Annamaria Testa nel suo blog. Riportiamo di seguito una parte del testo scritto per il catalogo della mostra Benzine (Bologna, Palazzo di Re Enzo, gennaio 2013 – Milano, Triennale, febbraio 2013). Un pensiero da noi condiviso pienamnete e che promoviamo nel nostro sito…
In Italia, a parte pochi pionieri inascoltati – tra questi è necessario ricordare almeno Gabriele Calvi, autore de Il problema psicologico della creatività a metà anni Sessanta, e Aldo Carotenuto per alcuni scritti – il mondo accademico e scientifico appare per decenni piuttosto disinteressanto all’argomento. Silvano Arieti, autore di Creatività, La sintesi magica, lavora negli Stati Uniti.
In tempi più recenti, ben che vada, gli imprenditori più curiosi, i manager più attenti e i lettori di saggistica divulgativa vanno a cercarsi sui bestseller americani che vengono tradotti nella nostra lingua (alcuni meritevoli, altri assai meno) qualche ricetta ready to use per avere idee. Solo da una manciata di anni i lavori di Melucci, Antonietti, Legrenzi, Masi e non molti altri cominciano a destare attenzione e a diffondere qualche prospettiva nuova e più consistente.
Non c’è dunque da meravigliarsi se la prima grande ricerca sull’idea che gli italiani nel loro complesso hanno della creatività, svolta da Eurisko nel 2004, restituisce percezioni superficiali e contraddittorie: per un intervistato su due la creatività è importante per moda (60% di risposte positive) e cucina (43%)… per poco più di uno su venti (6% di risposte positive) è importante per l’economia.
Per la maggior parte degli intervistati, compresi i giovani universitari, la creatività si risolve nel rompere (si noti bene: non nel superare, ma nel trasgradire) le regole, ed è un fatto privato che può rendere la vita più gratificante appagando il narcisismo individuale: magari si traduce in un hobby da coltivare senza troppe pretese nel tempo libero, magari coincide con la capacità di destreggiarsi astutamente in campo lavorativo.
Insomma: nella pratica quotidiana, per i nostri connazionali, la creatività non è altro che una versione più sofisticata dell’arte di arrangiarsi mentre, se viene considerata in una più ampia prospettiva storica, appare come un misterioso dono del cielo che in passato ha benedetto pochi eletti famosissimi (Leonardo, Michelangelo…), e che tuttora, per motivi altrettanto misteriosi, continua a essere una gratuita benedizione permanente per il Paese. Che, qualsiasi cosa “creatività” significhi, a molti sembra “creativo” per definizione, anche se gli unici esempi di creatività che le persone hanno in mente ormai riguardano personaggi resi famosi dalla tv.
Da segnalare l’eccezione di due gruppi: le élite produttive (professionisti, imprenditori…) dichiarano che creatività vuol dire talento e tenacia, conoscenza, competenza, sfida per ottenere risultati che hanno valore. È una visione condivisa anche dagli anziani, e il dato è meno sorprendente di quanto sembri: si tratta delle medesime persone che, nel dopoguerra, hanno saputo, con tenacia e talento, ricostruire l’Italia, avviandola a una stagione di espansione e benessere. La pratica della creatività è stata concreta nelle loro mani ed è rimasta intatta nella loro memoria.
Creatività e cultura sono intimamente intrecciate non solo negli studi che indagano le dimensioni dell’ICC, l’industria culturale e creativa. Sono intrecciate perché l’una alimenta l’altra.
La capacità di pensare in modo creativo e di inventare qualcosa di nuovo non è un dono del cielo: è una conquista dell’individuo che decide di mettere a frutto un proprio grande o piccolo talento: studia, impara, sperimente con tenacia ostinata, dedizione e passione.
Lo fa per affermare se stesso. Per sfidarsi. Per curiosità e irrequietezza, per tenere sotto controllo un disagio, per trovare una ragione di vita.
Lo fa essendo disposto a lavorare in modo intensivo (le persone creative sono in genere workaholic, e il problema non è convincerle a lavorare ma, se mai, a smettere).
Raramente lo fa – su questo tutti gli studiosi concordano – solo per soldi: la motivazione intrinseca (il senso di gratificazione e orgoglio che ciascuno trae dal proprio saper pensare e saper fare, e dall’essere riconosciuto come persona capace) è, in termini di produzione creativa, molto più potente di quella estrinseca, costituita da premi materiali: la creatività ha una componente epica che andrebbe rispettata, e mai sottovalutata.
L’altro dato da non sottovalutare, per il governante che, magari, decidesse di promuovere e sviluppare la capacità creativa nazionale in funzione anticiclica, è l’importanza del contesto nel favorire o contrastare la vocazione creativa dei singoli: e “contesto” significa tante cose. Istruzione e formazione di buona qualità disponibili per tutti, e valorizzazione sociale dell’essere istruiti e formati. Fluidità sociale e meritocrazia. Apertura culturale. Disponibilità di risorse e di finanziamenti, e trasparenza nell’allocare le une e gli altri. Alta pressione sugli individui perché raggiungano risultati eccellenti, ma disponibilità degli strumenti indispensabili per raggiungerli. E ancora, capacità di integrare conoscenze, esperienze, generazioni, generi: diversi studi dimostrano che la creatività dei gruppi non è correlata tanto alla creatività individuale dei singoli partecipanti quanto alla varietà di competenze, esperienze e prospettive che ciascun gruppo esprime nel suo complesso.
In questa logica occorre sottolineare che istituire e promuovere in ogni campo, con forza, un patto generazionale per il trasferimento di conoscenze può fare, per lo sviluppo della creatività nazionale, molto più e meglio che un “largo ai giovani” detto così, a prescindere.
In altre parole: buttar via l’acqua sporca insieme all’anziano esperto piò rivelarsi, nel tempo, una pessima idea.
Forse è venuto il momento di cambiare le cose anche nel nostro Paese, che secoli fa – non certo oggi – è stato sì il più creativo del mondo. E potrebbe tornare, se solo sapesse coltivare i propri talenti, a conquistarsi un buon ruolo nella produzione di idee che generano ricchezza, benessere e crescita, non solo materiale.
La pesante crisi sistemica attuale potrebbe trasformarsi in un’opportunità. Perché questo succeda, è però indispensabile che si diffonda tra gli italiani la consapevolezza di quanto valgono le idee, e prima ancora di che cosa significa “pensiero creativo”, e di come questo sia strategico per affrontare un futuro incerto e necessariamente segnato da cambiamenti vorticosi.
Quella che oggi chiamiamo “crisi” domani ci sembrerà forse soprattutto una grande trasformazione. Siamo infatti in mezzo alla transizione fra un’economia industrale novecentesca e un’economia basata sulla conoscenza e la creatività, nella quale l’innovazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore, ha un valore centrale. Tra una società e un’economia in cui tutti sanno che cosa devono fare e una società e un’economia in cui sempre più persone devono trovare soluzioni nuove a problemi nuovi.
Inizia così la presentazione della mostra Benzine – le energie della tua mente prodotta dalla Fondazione Marino Golinelli.
Se c’è un buon punto da cui partire per svolgere il compito fondamentalissimo di spiegare, mostrare, raccontare, educare, suscitando – anche – l’emozione e la speranza che sono indispensabili al nascere di una visione nuova, è proprio questo.